venerdì 13 novembre 2015

Jhumpa Lahiri / Li amo ricchi e generosi


Jhumpa Lahiri 
«Li amo ricchi e generosi»

Quando si tratta di film, la scrittrice Jhumpa Lahiri ha le idee chiare. E adesso che, dopo aver vissuto a lungo in Italia, torna negli Stati Uniti, ha deciso di farne indigestione. Dalla platea particolare della giuria del 71° Festival di Venezia

Jhumpa Lahiri
Nella giuria del 71° Festival del Cinema di Venezia siederà anche Jhumpa Lahiri, premio Pulitzer per la narrativa conL’interprete dei malanni, membro dell’American Academy of Arts and Letters. E sarà un po' l’inizio di una fine.
Infatti la scrittrice, un «cervello» che ha scelto il nostro Paese e la nostra lingua per lavorare, dopo vent’anni a Roma sta per tornare negli Stati Uniti: «L’anno prossimo devo lasciare l’Italia. Ho accettato una cattedra alla Princeton University. L’ho fatto soprattutto per motivi finanziari e per il bene della famiglia. Ma torno in America nuovamente da straniera». Figlia di immigrati indiani, Jhumpa è nata a Londra, ma poi ha seguito la famiglia a New York, dove ha mantenuto una casa.

Venticinque anni fa, un Natale trascorso a Firenze l’ha convinta che «inglese e bengalese sono lingue che mi sono state imposte, dai genitori e dal luogo dove sono cresciuta. L’italiano è invece qualcosa che ho voluto imparare per me stessa. E per studiarlo davvero mi sono trasferita».

Che cosa le piace dell’italiano?«Quando navighi sei sempre alla ricerca di un approdo, perché il mare ti dà una sensazione di sospensione. A me capita la stessa cosa quando scrivo in italiano perché, malgrado lo ami, non mi appartiene». 

Come è entrata in giuria a Venezia?
«Me lo ha chiesto Nicola Lagioia (scrittore e selezionatore della giuria) già l’anno scorso, ma io avevo preso impegni a Mantova per la promozione del mio ultimo libro, La moglie.  Sono felice che mi abbia invitato di nuovo».

Se la sente di giudicare?
 «Non mi piace farlo.Giudicare qualcosa di creativo è una responsabilità che richiede rispetto e attenzione. Il mio approccio sarà più valutare e apprezzare. E farò una classifica».

Si è mai sentita giudicata?
«Per gran parte della mia vita,quindi cerco di allontanarmi da questa tentazione. E cerco di trasmettere questo valore anche agli studenti. L’obiettivo per un artista è andare avanti, scoprire cose nuove. Non mi interessa il successo: il fallimento è più formativo».

La regista Mira Nair, Leone d’oro con Monsoon Wedding, nel 2006 ha trasformato un suo libro,L’omonimo, in un film. È rimasta soddisfatta?

«Ha fatto un lavoro interessante. Ma io sono come la nonna di quel film: ho un legame affettivo, ma non è mia la responsabilità. Non è il mio lavoro, bisogna capire che il cinema ha un altro linguaggio».

Che cosa cerca in un film?

«Come scrittrice invidio il potere delle immagini. Non mi piace il cinema superficiale: cerco un film "a strati", che si faccia rivedere, che sia ricco, generoso. Non mi interessa che sia stilisticamente perfetto, ma deve dire qualcosa».
Va spesso al cinema?«Da quando sono mamma (e lo sono da 12 anni) ci sarò andata due volte l’anno. A Venezia farò indigestione». 

Come si aspetta il Festival?
«Mondano, anche divertente. Voglio godermi l’esperienza».

Giorgio Armani, Alberta Ferretti, Ferragamo: saranno in molti a vestirla sul red carpet.

«Sarò vestita in modo perfetto per gli unici dieci giorni della mia vita. Credo sia importante provare qualsiasi cosa almeno una volta. Per me è un’esperienza diversa, la vivo come un’apertura». 

A cosa sta lavorando?
«Veramente mi sento piacevolmente disorientata. Galleggio, vedo la terraferma, ma è in lontananza. So che non voglio tornare a scrivere in inglese. Quella è una strada piatta e io voglio andare in salita. Piuttosto potrei tradurre qualcosa dall’italiano».

Scriverà ancora dell’India?

«Mentre scrivevo La moglie mi sono accorta che sarebbe stato l’ultimo libro di una serie. Per ora questo sentiero è finito. Ne voglio scoprire e iniziare uno nuovo. Per questo  sto  cercando una direzione per la mia scrittura».





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